“Qualunque cosa si dica sulla poesia, sarà sbagliata”. Con un’affermazione così netta Bolesław Leśmian apre (e conclude) uno scritto del 1937, anno della sua scomparsa, intitolato Z rozmyślań o poezji (Considerazioni sulla poesia) nel quale, contraddicendo immediatamente la sua asserzione, dipana in maniera intensa e ricca di riferimenti filosofici i fili molteplici del suo credo poetico. Questo saggio, insieme ad alcuni altri brevi scritti teorici precedenti, rappresenta uno dei punti centrali del pensiero del poeta, e testimonia le convinzioni filosofiche e artistiche che emergono dalle sue opere, oggetto fino ad oggi di appassionate discussioni critiche.
Esplorando l’enigma della creazione poetica Leśmian svela le coordinate di fondo della sua riflessione sull’esistenza umana e sullo strumento privilegiato che permette all’uomo di esprimersi: il linguaggio. La parola, a differenza del linguaggio della pittura o della musica – puro ed essenziale colore o suono – è, per il nostro poeta, in divenire e scaturire perenne. Quando è parola poetica è espressione del trascendente nell’immanente e viceversa, mentre diviene nozione diffusa e comune, priva di vera essenza, quando è semplice apparenza e formalità del quotidiano, del sociale.
È indispensabile per Leśmian sgretolare l’edificio di schemi e concetti che il linguaggio convenzionale ha fissato per svelare il reale costruendo, invece, solo una gabbia di aporie interpretative. L’uomo, infatti, sopporta con confusa sofferenza il sistema binario del suo vivere sconnesso e dilaniato tra istinto e ragione: “Nella vita di tutti i giorni ci sembra di sentire prima la paura, e solo dopo il battito del cuore […] ma prima arriva il battito del cuore e poi – come sua conseguenza – la sensazione della paura” (p. 72).
Marina Ciccarini, Postfazione