Ferrivecchi è una grande città, di medie dimensioni, molto piccola. È situata nell’Italia settentrionale e centrale, con un piede nel sud. È ovviamente a ovest, oltre che a est. Attraversata da un fiume, sorge sulle rive del mare ed è una tipica località lacustre.
È con queste parole a fare da incipit che Federico Leva, autore sopraffino quanto schivo, introduce in maniera compassata ed ambigua al bestiario umano che svelerà al lettore nelle pagine successive. Una piccola cittadinanza che trascende i suoi asfittici confini e si fa emblema del mondo intero e delle sue miserie, di dolori mai sopiti che l’accettazione di un’ordinaria e sciocca routine non basta a seppellire nel passato. E che spesso, dunque, esplodono in tutta la loro potenza distruttiva nel presente, quando meno ce lo si attende.
Dalla voce narrante che cattura e svela per iscritto tali esistenze, compresa la propria, traspare in tutta la sua devastante portata grottesca una sofferta empatia verso la banalità del male a cui l’essere umano sembra paradossalmente essere condannato. Una sceneggiata, la vita, qualsiasi vita, non una commedia ma una farsa perpetua in cui, forse, l’unico applauso sensato spetta di diritto alla morte.
Federico Leva – è scrittore e traduttore. Da quando ha lasciato Londra, dove viveva, si aggira inquieto per l’Europa. Prima di Gente di Ferrivecchi ha pubblicato La revisione (Mondadori 2019, con Christian Pastore), Impasse (2005), Il naufragio del traduttore (2001).